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Bisi Antichità. Antico originale certificato dal 1850. Consegne in tutta Europa.

Product Image Cleopatra, olio su tela, dimensioni 97 x 77 (sola tela) Autore: ambito di Francesco del Cairo (Milano 1607-1665)

Cleopatra, olio su tela, dimensioni 97 x 77 (sola tela) Autore: ambito di Francesco del Cairo (Milano 1607-1665)

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Il dipinto che proponiamo raffigura Cleopatra, regina d’Egitto, giovane donna di precoce emancipazione, vera sintesi di potere, cultura e bellezza, uno dei soggetti più controversi ed al tempo stesso più amati e rivisitati nella storia della pittura occidentale.

I molteplici esperimenti artistici incentrati sull’ammaliante sovrana tolomea hanno prodotto opere che hanno notevolmente contribuito ad accentuare l’aura di fascino e di mistero attorno al personaggio, in cui l’epoca tra fine  Cinquecento e Seicento, grazie all’opera dei biografi Giulio Landi per il Cinquecento e Paganino Gaudenzi per il Seicento, vede affrontarsi due differenti letture di Cleopatra: il cinquecentesco ottimismo rinascimentale nell’umana facoltà di autodeterminazione e la combattuta ammirazione del barocco (gravida del moralismo controriformistico) per un soggetto da biasimare, ma proprio per questo non meno affascinane nel suo intrinseco carattere provocatorio.

La nostra tela, che denunzia una tecnica a tratti complice di una matericità quasi fiamminga, nell’esecuzione come nei dettagli (tra tutti il cesto di frutta in primo piano) costituisce un eloquente, sintetico e ben riuscito esperimento di compiuta sintesi tra la pittura classicista degli artisti di scuola emiliana (Reni e Guercino), i tardi epigoni fiamminghi di Caravaggio e l’esperienza dei primi barocchi (Giovanni Lanfranco, Pietro da Cortona), elementi tutti di una complessa mappa di riferimenti che ci riportano, nel loro armonico coesistere, all’esperienza del pittore milanese Francesco Del Cairo, altresì noto come Cavalier Cairo (Milano 1607-1665), che, proprio negli anni 1637-1638, in occasione del viaggio a Roma, fa esperienza di tutte le suddette “lezioni”.

La figura di Cleopatra, come quelle di altre “femmes fatales” non rappresenta del resto un caso isolato nell’ambito delle raffigurazioni di Francesco Del Cairo: si ricordi la “Cleopatra morente” della Pinacoteca Ambrosiana di Milano o la Salomè e l’Erodiade realizzate a Torino, per la corte dei Savoia, in seguito al trasferimento avvenuto nella capitale sabauda nel 1633. 

Se il Cinquecento avevofferto i migliori esempi di “Cleopatra” con il Giampietrino (Parigi, Louvre, 1515) e con Rosso Fiorentino (Braunschweig, H. A. Ulrich-Museum, 1525), nel seicento, e quindi anche per il Cavalier Cairo, a fare da indiscusso modello è la versione del Reni (Firenze, Palazzo Pitti, 1640) più volte riproposta secondo il gusto dell’epoca: fisico robusto ed abbondante, ovale del viso rotondo, carnagione pallida, capelli biondi, naso e labbra aggraziati. A questo stereotipo si aggiungerà un’ulteriore standardizzazione del personaggio storico: Cleopatra è morente, non di rado accompagnata dal serpente di Iside, divinità con la quale aveva voluto identificarsi tanto da valerle l’appellativo di “nuova Iside”.

Ora nel nostro dipinto, proprio come nel citato modello reniano di Palazzo Pitti, la cesta di frutti appare in primo piano, nonostante nella nostra tela si colga una maggiore complicità orientata verso la sensualità erotica, idealmente trascesa in Reni, pur restando come punti fissi la rappresentazione del seno scoperto e delle vesti slacciate. 

È tuttavia con la caravaggesca Artemisia Gentileschi che si raggiunge il punto di maggiore personalizzazione della regina egizia (Cleopatra, Ferrara, fondazione Cavallini-Sgarbi, 1620 circa): non più formosa, ma corpulenta, non più in posa elegante come una statua greca, ma scomposta, priva di panneggi, cesti ed ancelle, drammaticamente isolata in una scena che da sola riempie nel crudo realismo dell’espressione del volto 

Rispetto a tutto ciò il nostro dipinto sembra mantenere ancora un qualche carattere di classicista eleganza, in cui la lezione caravaggesca preferisce infiltrarsi nel menzionato dettaglio del cesto di frutta, sebbene la sua posizione in primo piano, al di là del rilievo qui dato all’ accentuazione dell’ombra, sia tributaria del modello reniano. 

La mappa di importanti riferimenti e termini di confronto con il nostro dipinto sarebbe tuttavia incompleta senza far menzione del noto soggetto di Guido Cagnacci “Morte di Cleopatra” (Vienna, Kunsthistorisches Museum, 1659), in cui la corona di diamanti costituisce un elemento di speculare confronto con la nostra telarestituendo alla sovrana tutta la sua regalità. 

Per spirito di completezza ricordiamo come rimandi alla versione del Reni si colgano anche nel Guercino (Pasadena, Norton Simon Museum, 1621; Genova, Musei di Strada Nuova, 1648), del quale il Cairo assorbì ugualmente la lezione nel menzionato soggiorno romano: cesto in primo piano, posa teatrale, fisico idealizzato, né realistico né sensuale, sguardo rivolto verso l’alto.

La regina è ormai raffigurata come fosse una santa: il contrasto tra Eros e Religione, gravido di tutte le implicazioni controriformistiche, senza possibilità di risoluzione sul piano del reale vissuto, viene magistralmente risolto fuori campo in ambito pittorico

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