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Bisi Antichità. Antico originale certificato dal 1850. Consegne in tutta Europa.

Product Image Martirio di san Sebastiano, scuola emiliana XVII secolo (olio su tela)

Martirio di san Sebastiano, scuola emiliana XVII secolo (olio su tela)

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La tela in questione raffigura in una chiave ossequiosa della tradizione agiografica e pittorica, ma al tempo stesso particolarmente originale, il martirio di san Sebastiano.
Dalla Passio Sebastiani, il testo alla base del culto del santo ed all’origine della sua fortuna iconografica, si narra che al tempo degli imperatori Diocleziano e Massimiano (che regnarono in diarchia tra il 286 ed il 305), Sebastiano era un ufficiale stimato che dissimulava la propria fede sotto la clamide per meglio aiutare i cristiani sfruttando la sua posizione. Non riuscendo a persuadere il suo ufficiale a rinunciare alla fede ed al proselitismo, Diocleziano decise di farlo uccidere trafitto dalle frecce dei suoi arcieri, episodio del martirio del santo definitivamente consacrato dalla tradizione pittorica come anche nel nostro dipinto.
Se l’iconografia tradizionale tanto pittorica quanto scultorea ha scelto di soffermarsi perlopiù sulla rappresentazione di questo momento della Passione del Santo, apprendiamo tuttavia dal testo agiografico sopra citato che Sebastiano sopravvisse, fu curato da Sant’Irene (a riguardo è ben nota la resa pittorica del “San Sebastiano curato dalle pie donne” di Georges de la Tour, Parigi Louvre) e fece ritorno al palazzo dell’imperatore per dimostrare la potenza di Cristo. Fu quindi condannato ad essere flagellato a morte ed il suo corpo fu gettato nelle condotte fognarie per essere successivamente ritrovato da Lucina ed inumato nelle catacombe.
Se nelle rappresentazioni pittoriche di diretta ispirazione controriformistica la versione di Sebastiano curato da sant’Irene veicola il messaggio della carità della Chiesa verso tutti i più bisognosi, carità di cui Irene è simbolo e personificazione al tempo stesso, nel resto delle raffigurazioni ovvero nella maggior parte di esse, proprio come nel nostro dipinto, il momento prediletto ed immortalato è quello del santo trafitto da frecce, esperienza di martirio qui figurativamente rafforzata dalla presenza dell’angelo che interviene a consegnare la palma della vittoria e che si accinge ad incoronare il santo con la ghirlanda del trionfo (rimandi biblici a san Paolo ed al libro dell’Apocalisse).
È diretto, nel nostro dipinto, il collegamento con la tradizione pittorica di scuola emiliana, presso cui questa modalità di rappresentazione del menzionato soggetto religioso conobbe particolare fortuna e diffusione.
Diretto s’impone anzitutto il confronto con le numerose versioni apollinee del San Sebastiano del Reni: nel nostro dipinto il Santo, con la sua gestualità teatrale e la ruvidezza massiccia del suo corpo, emana un’energia monumentale. Quest’ultima esclude qualsiasi efferatezza senza tuttavia recar eco delle estenuazioni sensuali che contraddistinguono le note versioni del Reni, al quale tuttavia il nostro pittore sembra guardare, seppure con distacco.
Altri noti prototipi, con cui si confronta il nostro pittore di ambito emiliano, sono quelli di Giuseppe Cesari detto Cavalier d’Arpino (Napoli, Quadreria dei Gerolamini), di Ludovico Carracci (Gravina di Puglia, Museo Pomarici Santomasi) nonché il San Sebastiano tardo-rinascimentale di Giovanni De Vecchi.
Come il San Sebastiano del Cesari, anche il nostro, rispetto al modello del Reni, sembra essere fisicamente più distante: la figura dal torace scarno e dal corpo spigoloso e rigido nel suo complesso, sembra tenere lo spettatore lontano da ogni forma di partecipazione al dolore ed alla sofferenza esistenziale del santo. Da questo raffronto, il nostro dipinto, al pari di quello del Cesari, risulta essere più vicino ad un Andachtsbild goticizzante.
Similmente, tuttavia, se confrontiamo il nostro dipinto con quello di Ludovico Carracci, al pari della copia dai tratti effeminati della figura di Ludovico ripresa da Guido Cagnacci, inibisce l’attrazione fisica in un modo ancora diverso, soprattutto per via della stilizzata muscolatura di manierista memoria (cfr. Sebastiano del Piombo, Flagellazione in san Pietro in Montorio).
Proprio come nel san Sebastiano del Carracci il distacco dalla realtà risulta ancora più evidente nel divario tra corpo e testa/mente del martire, lontano dai toni rilassati della figura del Reni, che appare distesa e completamente conscia della propria palpabile fisicità.
Se abbiamo menzionato il Cagnacci è perché la vicinanza con la maniera di quest’ultimo è riscontrabile anche guardando ad altri prototipi iconografici: si pensi alla Maddalena penitente della collezione Spadoni a Bologna od alla Lucrezia della Pinacoteca Nazionale di Bologna.
Relazioni ancora più strette, peraltro, si possono rilevare con dipinti già attribuiti al Cagnacci, ma la cui paternità è da considerarsi sub judice: è il caso del sant’Antonio da Padova della Pinacoteca di Forlì o del sant’ Ignazio di Loyola della collegiata di sant’Arcangelo di Romagna, oggi ricondotto all’interno del corpus di Cristoforo Savolini.

Misure :  76x 59 la tela / cornice 101 x 71 

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